Fabio Ceraulo presenta il libro Falconera (Spazio Cultura edizioni)

Sicilia, 1860. A Falconera, una contrada di campagna immersa tra i pini, sul colle che sovrasta Castellammare del Golfo, la gente ha saputo dell’arrivo di Garibaldi, un evento che dovrebbe determinare il cambiamento epocale che i “galantuomini” della comunità attendono per capire da che parte schierarsi. Qui si intrecciano le vicende di vari personaggi, tra cui il ricco possidente don Faro, un uomo tormentato dai ricordi, gli arrivisti Francesco e Bartolomeo, l’umile famiglia Romano, la levatrice Francesca Galante, don Benedetto, il parroco impegnato a sfamare i poveri e l’avvocato Oliveri, di idee rivoluzionarie. Nella piccola comunità il passaggio dai Borbone ai Savoia e le nuove leggi alimenteranno dei contrasti, determinando un crescente malessere che coinvolgerà tutti quanti, senza distinzione di ceto sociale, trasformandolo presto in una polveriera pronta a esplodere.
«La picciridda, di notte, piange sempre».
«Povera bimba», era stato il commento del prete, «piange
perché ha compreso che razza di caprone è suo padre!»
Fabio, questo libro è ricco di stimoli che portano il lettore a chiedersi diverse cose…Per esempio è ben evidenziato lo strato sociale di quel periodo storico, un quadro dettagliato delle donne e degli uomini in tutta la loro complessità. L’aspetto religioso, gli usi e costumi si fondono perfettamente con la trama… Un luogo comune: “uomini caproni”, donne capaci?
In generale, nell’Ottocento, le donne erano personaggi “capaci”, sia di soffrire che di vivere. Non era un periodo in cui la donne contassero granché, né tra le popolane, né tra le figlie dell’aristocrazia. Sapevano soffrire, davano la vita con le precarie condizioni igienico-sanitarie dell’epoca, quindi sottoposte di continuo al rischio delle loro vite. E poi accudivano i figli, lavoravano sia nelle case che nei campi, lottavano contro la miseria e le privazioni, contro la fame e le epidemie. Gli uomini dovevano lavorare (i popolani) o far nulla (i nobili e dalla metà dell’Ottocento anche i borghesi) e comunque sostenere le famiglie. Era un periodo di grande ignoranza in tutti campi, compresa la vita quotidiana che non era per nulla semplice. Diciamo che le donne dovevano accettare di buon grado il volere degli uomini, non avevano voce in capitolo. Chi, fra le donne del diciannovesimo secolo ha provato a cantare fuori dal coro, è rimasta nella storia.
“L’uomo si volta, torna in camera da letto e poggia il rosario sul comodino, cercando di posizionarlo esattamente com’era prima. L’anziana cameriera Teresa, quando entra a rifare il letto e pulire la stanza, controlla sempre che la coroncina sia al suo posto.”
Falconera e l’aspetto religioso… spicca la descrizione degli usi e costumi del tempo… Scelta voluta o correlata?
L’aspetto religioso all’epoca dei fatti descritti nel romanzo “Falconera” è molto sentito in tutti i ceti sociali, perché erano tempi in cui il clero contava molto, soprattutto nelle piccole comunità dei paesi. C’era, come già detto, molta ignoranza che determinava bigottismo e superstizione, ma anche grande devozione che spesso sfociava in sentimenti di carità e beneficenza. La scelta di porre questo aspetto in primo piano è perfettamente correlata al periodo in cui è ambientato il libro.
In un passo preciso del libro, ci sono Angelina e la “mammana”. Il racconto sulle uova e i soldati rossi: un messaggio esplicito, ” la guerra puzza” o…?
Le guerre non erano (e non sono) soltanto battaglie, morti e feriti. A soffrire di più spesso erano coloro che stavano, per così dire, dietro le quinte. Al passaggio degli eserciti, i civili dovevano affrontare di tutto: perquisizioni, saccheggi, ingiustizie, perfino stupri. Se la guerra “puzza” è perché il cammino delle truppe era intriso di violenza. A pagarla cara erano inermi cittadini che nulla c’entravano con i conflitti.
«Pensi che basta avere i capelli ben pettinati per vincere una guerra?»
«Voscienza, intendevo dire che…».
«Rubagalline. Ricordalo. Quelli vestiti di rosso e pure i nostri. E scommetto la mia carrozza più bella che se i nostri arrivano alle mani con quelli, le prendono».
Fabio Ceraulo, i tuoi personaggi si incastrano tra loro in modo perfetto… L’intelligenza di Don Faro spiazza tutti ma l’espressione riferita ai capelli, che ricorda molto il detto “l’abito non fa il monaco” è tipica di quel periodo storico o è solo un modo per evidenziare che esistono “soldati e soldati?”
Nella fattispecie, la battuta di don Faro è riferita all’esercito borbonico, poco abituato a combattere, più avvezzo a sfilate e parate con divise lucide e capelli ben pettinati. Al contrario, gli uomini di Garibaldi erano tutti reduci da tante battaglie, avevano un’esperienza bellica notevole (nella spedizione dei Mille, molti provenivano dalla guerra d’indipendenza combattuta l’anno prima). Questo contrasto ci dimostra che in quell’ambito ci furono soldati e… soldati. La vittoria garibaldina, poche migliaia di uomini al cospetto di un esercito regolare, è figlia di quell’aspetto.
«I pezzenti non hanno motivo di andare a scuola, che restino ignoranti!» ha tuonato, dimenticando che lui stesso ha frequentato poco e male le scuole elementari di Alcamo.
La Sicilia e la scuola: da allora a oggi, grandi cambiamenti felici?
Non si può paragonare la scuola di ieri a quella di oggi. La Sicilia, ai tempi di “Falconera”, aveva un tasso di analfabetismo altissimo, e se lo porterà appresso fino all’inizio del ventesimo secolo. Molti imprenditori, ufficiali dell’esercito, industriali di successo, avevano poca istruzione. Il progresso determinò una maggiore istruzione, certamente, e questo fu un bene, anche se nelle realtà rurali l’ignoranza restò tale, perché le famiglie avevano bisogno di braccia per coltivare i campi e preferivano che i piccoli andassero presto a lavorare più che andare a scuola. Anche ciò, per fortuna, fu superato con l’andare del tempo e l’introduzione di una istituzione scolastica più attenta e più rigida rispetto a certe situazioni.
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