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In Lombardia si potrà uscire soltanto con l’autocertificazione durante il coprifuoco

contagi che crescono – soprattutto a Milano -, i posti in ospedale dedicati al Covid ormai saturi, le terapie intensive sotto stress e il tracciamento della malattia ormai impossibile. E su tutto, il ricordo della scorsa primavera, con la mortalità più alta d’Italia, le Rsa colpite dal coronavirus e le responsabilità di un ritardo nelle zone della bergamasca, dove un lockdown più deciso e rapido avrebbe forse permesso di raccontare un’altra storia, meno drammatica.

Sono questi i motivi fondamentali che hanno spinto la Lombardia a chiedere una maggiore stretta al governo sulla movida, ovvero un coprifuoco dalle 23 alle 5. 

La misura non è ancora drastica, ed anche in parte discutibile visto che probabilmente è la vita diurna durante la settimana a vedere più assembramenti, come quelli negli autobus. La scelta della Regione Lombardia è stata quella di tutelare le attività produttive, incluse le scuole e i servizi alla persona (come le palestre e le piscine, che al momento restano aperte), riducendo gli spazi della vita sociale. La firma del ministero della Salute è attesa per oggi, il coprifuoco potrebbe scattare già da giovedì 22 ottobre. E la Lombardia potrebbe essere seguita da altre Regioni. Ecco i quattro motivi che hanno portato a questa decisione.

Crescono da circa un mese, senza sosta. Mediamente si va dai circa 1.500 contagi al giorno fino ai 2mila. Ovviamente il numero può variare in base al numero di tamponi giornalieri effettuati, che ormai superano i 25mila. Tuttavia la percentuale di positività sui tamponi è in aumento: in una sola settimana si è passati dal 6% fino a oltre l’11%. Questo dato è da tenere sotto controllo, ed è considerato importante dal Comitato tecnico scientifico regionale e nazionale.

Inoltre da sottolineare che il contagio massimo si concentra nell’area milanese e ancora di più nella sola città di Milano, dove ogni giorno emergono circa 500 casi di positività, ormai da oltre una settimana.

Nell’area milanese i posti letto sono circa 6mila, e almeno il 30% risulta libero. Ma in tutta la Lombardia i posti che da questa estate erano stati ipotizzati per il Covid sono 17 hub con circa 20 posti letto ciascuno. Sono esauriti da oltre una settimana, ma il dato inizialmente non ha destato clamore visto che sembrava facile aumentare i posti prendendoli da altri reparti, pur isolando rigidamente i malati Covid. E così è stato: sempre più spazi sono stati dedicati ai malati di coronavirus. Non c’è ancora un’emergenza in questo senso, ma è chiaro che l’aumento dei ricoveri fa tremare il personale medico, perché in prospettiva rischia di venire sacrificata l’attività ordinaria e gli interventi già programmati, così come è stato la scorsa primavera. Fatto, questo, che nel tempo secondo i medici rischiamo di pagare: potrebbero infatti peggiorare gli andamenti di altre patologie.

Questo è uno dei numeri più importanti. Al momento in Lombardia sono disponibili 983 posti in forma stabile, e l’obiettivo del governo e della Protezione civile è di portare questo numero a 1.442. In teoria la Lombardia dovrebbe riuscire abbastanza facilmente a recuperare posti, visto che lo scorso marzo ha acquistato nuovi apparecchi (respiratori, monitor ecc) riuscendo a realizzare in emergenza 1.800 posti. Il rischio è che però, come per i ricoveri, le terapie intensive destinate al Covid salgano a tal punto da non permettere cure per altri tipi di malati

Finora la proporzione ritenuta adeguata a Milano era il 30% delle terapie intensive dedicate al Covid. Questo limite è saltato da circa cinque giorni, con i primi trasferimenti da Milano ad altre province. Al momento ci sono ancora posti in terapia intensiva, ma bisogna evitare che si arrivi a saturare tutto con il Covid.

Da settimane è saltato completamente. A settembre è stato possibile individuare i primi focolai, ma la scarsità del personale dedicato, l’assenza di dottori delle Usca e di infermieri di famiglia non hanno permesso di realizzarlo effettivamente. A Milano si è perso il controllo del contagio. Inoltre la app Immuni di fatto non viene utilizzata – oppure viene fatto nel modo sbagliato -. Pertanto la strategia dei mini-lockdown, di cui si era parlato a inizio stagione, è stata abbandonata.

Il problema fondamentale è l’assenza di personale dedicato, in tutta Italia come in Lombardia, dove la mancanza di una medicina territoriale ben organizzata era già emersa in tutta evidenza tra febbraio e marzo. Da allora le lacune non sono state colmate. Già da maggio la Lombardia ha ricevuto uno stanziamento statale di 202 milioni per assumere i dottori delle Usca, le unità preposte al controllo del territorio, e gli infermieri per l’assistenza domiciliare, ma i bandi non sono stati ancora fatti. Ad oggi nella sola area milanese mancano 130 medici e oltre 500 infermieri. Gli addetti al tracciamento sono poche unità sotto il controllo della Ats di Milano. Inoltre la Regione sta affrontando proprio in questo periodo l’uscita per il pensionamento di molti medici di base.

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