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La cannabis light è legale? Cosa dice la legge e come si è evoluta nel tempo 

La legalità della canapa è un argomento oggetto di discussione da diversi decenni e, al giorno d’oggi, questa famosissima pianta continua a far parlare di sé 

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È vero: dal punto di vista legislativo sono stati fatti significativi passi in avanti nella regolarizzazione della coltivabilità e commercializzazione dei prodotti derivati dalla cannabis. Tuttavia, tra interpretazioni contrastanti e testi fraintendibili, molte persone inclusi gli imprenditori che negli anni scorsi hanno investito in questo settore, mettendo in vendita diverse varietà di hashish legale e altri derivati della cannabis continuano ad avere le idee confuse a riguardo. 

Nelle prossime righe chiariremo la definizione di cannabis legale e scopriremo come si esprimono le normative europee e italiane in merito. 

Cannabis light: quali sono le sue caratteristiche 

È bene chiarire fin da subito che la Cannabis Sativa contiene numerosi principi attivi, i più importanti dei quali sono: 

  • il cannabidiolo, meglio conosciuto come CBD; 
  • il delta-9-tetraidrocannabinolo, noto con la sigla THC. 

Le due molecole sopra elencate sono presenti in quantità predominante rispetto agli altri componenti e giocano un ruolo fondamentale nella definizione di canapa light. Questa varietà di cannabis è caratterizzata dalla quantità limitata di THC, sostanza che non può superare la percentuale del 0,2%. 

Il motivo per il quale la canapa light ha visto aprirsi le strade della legalità è semplice: una quantità così bassa di tetraidrocannabinolo, sostanza responsabile degli effetti psicotropi della marijuana, dell’hashish e di altri derivati della cannabis, non è sufficiente a classificare tale varietà come drogante”. 

Di conseguenza, la produzione e l’acquisto di prodotti a base di cannabis light sono regolamentati a norma di legge. Vediamo, dunque, quali sono i documenti legislativi che hanno fatto giurisprudenza in merito alla legalità della canapa light. 

Il regolamento europeo sulla cannabis industriale del 2009 e la richiesta dell’OMS del 2019 

Il primo passo di apertura nei confronti della canapa è stato l’emanazione di ben quattro documenti da parte del Consiglio dell’Unione europea nel 2009: 

  • il regolamento n. 73/2009; 
  • il n. 1120/2009; 
  • il n. 1121/2009; 
  • Il n. 1122/2009. 

Questi documenti sono stati formulati con l’obiettivo di disciplinare la produzione della canapa industriale nei Paesi membri dell’UE, in particolare in merito alla coltivazione e alla trasformazione delle fibre. È in queste normative che viene specificato come coltivare la canapa sia concesso purché la percentuale di THC non superi il limite dello 0,2%. 

In tempi più recenti, a scuotere il mondo della canapa ci ha pensato l’Organizzazione Mondiale per la Sanità che ha invitato l’ONU a rimuovere la cannabis dalla Tabella IV delle sostanze considerate stupefacenti. Richiesta accolta in seguito a una votazione alla quale tutti Paesi dell’UE (Ungheria esclusa) si sono espressi favorevolmente. Attenzione, però: tale decisione, per quanto storica essa sia, non ha nulla a che fare con la legalità della coltivazione della pianta. 

Per comprendere quale sia la situazione attuale in Italia, è necessario analizzare la nostra legislazione. 

La legge italiana sulla canapa light 

La storia delle leggi inerenti alla coltivazione della canapa in Italia è piuttosto travagliata e ricca di contraddizioni, specie se si considera che nei primi decenni del Novecento questo settore costituiva un segmento importantissimo dell’economia del Paese. 

Dal secondo dopoguerra in poi, questa pianta è stata letteralmente perseguitata a causa di interpretazioni errate della legislazione; negli anni ’70 e ’80 in particolare, in Italia ci furono diversi tentativi di riprendere la coltivazione della cannabis a scopo industriale, puntualmente ostacolati dalle forze dell’ordine. 

Una prima svolta legislativa si ebbe nel 1997, con una nota del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali in cui vennero definiti i limiti per la coltivazione a uso industriale. Ma la legge più importante in materia è quella emanata nel dicembre del 2016; la Legge 242/2016, riguardante le disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, ha dato il via a un vero e proprio boom del settore. 

Negli ultimi anni, infatti, sono nate centinaia di imprese che si sono attivate nella coltivazione e nella commercializzazione delle varietà di cannabis indicate come legali dall’articolo 1 del testo di questa legge (che fa riferimento all’articolo 17 della direttiva europea 2002/53/CE); tuttavia, la normativa ha evidenziato diverse falle, come l’assenza di termini precisi (infiorescenze, foglie, e via dicendo) e di qualsiasi riferimento circa l’utilizzo della canapa e dei suoi derivati a scopo ricreativo. 

Un testo poco chiaro dà sempre origine a diverse interpretazioni, ed è per questo che sarebbe necessario integrare la Legge 242. Resta il fatto che, allo stato attuale, è legale coltivare la canapa industriale destinata a settori come: 

  • l’alimentare; 
  • la cosmetica; 
  • la bioingegneria; 
  • la bioedilizia; 
  • la fitodepurazione; 
  • il florovivaismo; 
  • il collezionismo. 

In conclusione 

È evidente che in Italia la legislazione in materia di cannabis sia ancora incompleta e necessiti di indicazioni più dettagliate. Tuttavia, la Legge 242 rappresenta un punto di riferimento che precedentemente mancava e il suo testo è abbastanza chiaro in merito alla possibilità di coltivare la cannabis in base alla quantità di THC. 

Per quanto riguarda, invece, l’acquisto dei derivati della cannabis a scopi collezionistici, è fondamentale assicurarsi che il venditore rilasci una certificazione che attesti una percentuale di tetraidrocannabinolo inferiore al limite imposto dallo Stato. 

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